I Settore della Necropoli di Sovana

Sulle colline a nord del torrente Calesine, si trova la parte più grandiosa della Necropoli sovanese. Orientata a mezzogiorno, l’area della Necropoli si estende per circa un chilometro e mezzo e presenta una fila quasi ininterrotta di tombe a dado e a semidado. Tra queste spiccano alcune monumentali tombe a fronte colonnata e a edicola con frontone decorato: a Poggio Prisca (tomba Pola e tomba dei Demoni alati); a Poggio Felceto (tomba Ildebranda); a Poggio Stanziale (tomba del Tifone).

La necropoli è percorsa dalla Via Cava detta Il Cavone ed è facilmente raggiungibile dalla strada provinciale che collega Sovana a San Martino sul Fiora.

Si tratta di un percorso scavato nella roccia di tufo in epoca etrusca. La via, periodicamente livellata fino agli anni 30 del secolo scorso, non è attualmente percorribile a causa di alcuni alcune frane che ne impediscono l’accesso. Questa via cava è sicuramente tra le più suggestive della zona sia per le sue dimensioni ciclopiche (sicuramente era la strada più importante) ma anche per le numerose varietà di felci, muschi e licheni oltre a numerose piante di alto fusto cresciute nella parte alta del percorso e qui particolarmente rigogliose per la presenza di un clima fresco e umido.

Nel 1912, in prossimità dell’imbocco del sentiero, fu scoperta una stipe (altare con favissa) contenente teste, statuette ed ex voto anatomici fittili (in terracotta) e in bronzo donati alle divinità in segno di devozione.

A circa metà del Cavone, oltrepassata una nicchia di età medievale che conteneva un’immagine sacra per proteggere i viandanti (uno dei cosiddetti “Scacciadiavoli”), è visibile l’iscrizione etrusca vertna che indica un gentilizio (cognome) e una singolare incisione a forma di svastica generalmente interpretata come una rappresentazione stilizzata del sole.

Tra il 2004 e il 2005, nell’ambito del progetto di “Monitoraggio del patrimonio archeologico all’aperto” del territorio del Comune di Sorano, è stata condotta una campagna di scavi nella Necropoli.

L’indagine, effettuata dalla Soprintendenza ai Beni archeologici della Toscana in collaborazione con il Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha individuato a cinquanta metri a ovest dalla tomba Ildebranda, una tomba a edicola poi denominata “Tomba dei Demoni alati”.

Mentre la camera funeraria è stata depredata in antico, lo scavo dell’area in prossimità del monumento ha portato alla luce grandi blocchi di tufo con una decorazione scultorea ben conservata e di notevole livello qualitativo.

Al centro di una terrazza larga circa otto metri, la tomba si presenta come un grandioso blocco cubico ricavato nel tufo, sulla fronte è scavata la facciata di un edificio ad edicola con un profondo vano centrale. All’interno di questa nicchia è scolpita nel tufo la statua di un un defunto in posizione semi sdraiata sul letto funebre a banchetto che tiene nella mano destra la patera (coppa) della libagione e che conserva inalterato il rivestimento policromo.

Ai due lati, sempre nella grande nicchia centrale si ergevano due statue realizzate quasi a tutto tondo, rappresentanti due demoni alati femminili. Di queste si conserva ancora quella di sinistra che è rappresentata con una fiaccola ed è identificabile con Vanth (il demone molto probabilmente, per la presenza della fiaccola, aveva il compito di illuminare il percorso che doveva compiere il defunto per raggiungere il mondo dei morti).

Sul frontone campeggia l’altorilievo di un imponente demone marino, alato e con due code pisciformi, identificabile con Scilla o Tritone.

In posizione simmetrica, nella platea davanti alla facciata, erano due sculture a tutto tondo poste su alti podi, di cui è ben conservata quella di sinistra, raffigurante un leone.

La tomba è databile alla seconda metà del III sec. a.C.

Questa tomba del tipo a tempio era caratterizzata da otto colonne rastremate poste su un alto podio delle quali rimane soltanto una. Della decorazione architettonica rimane soltanto una parte del soffitto a lacunari.

In posizione simmetrica rispetto alla facciata un lungo e profondo dromos conduce alla grande camera di sepoltura con banchina continua alle pareti (purtroppo già violata e saccheggiata in antico). La struttura databile al III sec.a.C. ha subito nel tempo un notevole degrado a causa, in questo punto, della maggiore fragilità del tufo. Per questo nel 2005 la Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana ha eseguito un intervento sull’unica colonna rimasta dotandola di una fasciatura e di un sostegno.

La più famosa delle tombe etrusche di Sovana deve il suo nome al più illustre cittadino del centro maremmano in età medievale: Ildebrando di Sovana che divenne Papa col nome di Gregorio VII. E’ questa la più monumentale delle tombe sovanesi essendo stata realizzata ad imitazione di un vero e proprio tempio colonnato di tipo etrusco italico, caratterizzato da un alto podio modanato e accessibile mediante due scale laterali.

Purtroppo il monumento si presenta oggi in condizioni assai deteriorate, ma dobbiamo immaginare una struttura eccezionalmente ricca di decorazioni plastiche e vivacemente policroma. La tomba è caratterizzata da dodici colonne scanalate e rastremate poste su alte basi modanate delle quali sei frontali e tre ai due lati che sostenevano il soffitto a lacunari dell’ambulacro (finta cella) ed erano sormontate da un fregio a rilievo decorato con una serie di grifi affrontati alternati a rosette e trattenuti per le code da una figura femminile.

Colonne e fregio erano sormontati da timpani decorati con girali vegetali e ravvivati da colori sgargianti (giallo, oro, rosso e verde) e i capitelli erano decorati con protomi umane maschili e femminili incorniciati da foglie d’acanto, tutto il monumento era coronato da un grande cippo di tufo.

Di fronte alla struttura, un lungo dromos conduce il visitatore alla camera funeraria che si trova sotto il monumento. La camera, a pianta cruciforme con soffitto displuviato, presenta un unica banchina di deposizione che era in origine probabilmente occupata da un sarcofago ligneo. Saccheggiata ormai da secoli non sappiamo nulla del corredo funerario di accompagno eccetto i pochi frammenti a vernice nera e acromi rinvenuti durante gli scavi di R. Bianchi Bandinelli.

Attraverso un corridoio posto ortogonalmente al dromos dell’Ildebranda si raggiunge un’altra camera funeraria con pianta a cruciforme e banconi di deposizione su tutti i lati particolarmente interessante per la decorazione del soffitto a cassettoni. La camera doveva appartenere ad un altro monumento non più visibile.

Adiacente al complesso monumentale è presente un’altra piccola Via Cava detta di “Poggio Prisca”.

Si tratta di una tomba a edicola con timpano decorato con una protome femminile fortemente aggettante e circondata da foglie e fiori che fu erroneamente interpretata come Tifone (un mitico mostro marino con code di serpente) da George Dennis.

Sulla facciata, al di sotto del timpano, si apre un vano rettangolare, delimitato da ante scanalate e coperto dal soffitto a cassettoni decorati con losanghe. Dalle tracce di stucco rimaste è stato ipotizzato l’uso di policromie nella finitura del monumento. Sul lato destro è presente una ripida scala tagliata nel tufo che conduce alla parte superiore della tomba dove si trova l’ara porta cippo che veniva utilizzata per lasciare offerte alle divinità. Davanti alla facciata non c’è traccia del dromos e della camera funeraria. Per confronti stilistici del rilievo frontale, la struttura è riconducibile alla seconda metà del IV sec. a.C.

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